Miniere e Sardegna: la storia di Arturo

Miniere e Sardegna la storia di Arturo

La storia della Sardegna recente vede prevalere in maniera preponderante un luogo di lavoro che, agli occhi di una persona nata nel 1985, appare quasi irreale.

Sì perché la Sardegna, o meglio il Sulcis Iglesiente, che è la parte Sud Occidentale dell’isola, ha vissuto grazie alle miniere per decenni e decenni.

Ma la cosa che lascia più esterrefatto è che alla mia nascita, le miniere attive in Sardegna erano ancora tante e che, a metà degli anni ’90, alcune di loro ancora sopravvivevano.

Ciò che a me lascia veramente di stucco è il fatto che un’intera regione potesse andare avanti grazie al lavoro svolto dai suoi uomini a decine di metri sottoterra.

Non so se avete mai provato a visitare una di queste miniere, ma non Porto Flavia perché quella non è proprio una miniera, quanto un percorso di carico merci sulle navi.

Io decisi di visitarne alcune qualche anno fa. Cominciai dalla miniera di San Giovanni a Bindua e proseguì con la Galleria Henry a Bugerru.

Se prendiamo San Giovanni, la prima cosa da notare è come si veniva portati a bordo di un rudimentale ascensore e diversi metri sottoterra: qualcosa decisamente da evitare se soffrite di claustrofobia.

Le condizioni del lavoro all’interno delle miniere

Il particolare su cui occorre soffermarci e che al giorno d’oggi lascia effettivamente esterrefatti, sono sicuramente le condizioni di lavoro all’interno di una miniera.

Se forse a tanti di noi non incute tanto timore lavorare pesantemente a decine di metri sottoterra, occorre anche pensare che in Sardegna si è sempre estratto tanto carbone (da qui il nome di Carbonia ad esempio) e che all’interno delle miniere di carbone, la temperatura potesse raggiungere picchi molto elevati anche intorno ai 30° C.

Pensate ora a lavorare con picco e martello in quelle condizioni: scarsità di illuminazione, aria secca e quasi irrespirabile, polvere ovunque attaccata alla pelle sudata, ore di lavoro costante.

Fatico a comprendere quale potesse essere la condizione fisica e psichica dei minatori che qui hanno trascorso gran parte della loro esistenza.

Sicuramente non era un lavoro facile ed è probabile che solo lo spirito di fratellanza e solidarietà tra i minatori, abbia poi portato queste persone a sopravvivere e trascorrere un’esistenza serena.

Ma il motivo che mi spinge oggi a parlarvi di miniere e di Sulcis Iglesiente è un altro.

La vera motivazione è una certa nostalgia che oggi mi stringe il cuore e che mi spinge a lasciare un piccolo ricordo (nel mio piccolo) ad uno degli uomini che ho più stimato nella vita e che, nonostante siano trascorsi tanti anni dalla sua morte, continua a fare visita ai miei pensieri di tanto in tanto, specie oggi che sono diventato padre anche io.

Arturo: l’uomo e il minatore

L’esempio di Arturo aiuterà un lettore che poco conosce questa parte di Sardegna a comprendere quale potesse essere la vita da queste parti dalla fine del 1900 sino alla metà degli anni ’90.

Arturo era un padre di famiglia, ma anche un minatore, in servizio nei pressi di Carbonia. Non capii mai se presso la miniera di Serbariu o presso qualche altra miniera.

Questa che segue è la sua foto:

Arturo il minatore 1

Ciò che era sicuro era il fatto che la miniera dove lavorava Arturo non era Porto Flavia, ma qualcosa di decisamente peggio.

Porto Flavia, la famosa miniera accanto alla bella spiaggia di Masua, nel comune di Nebida, sta infatti all’interno di un roccia e non nel sottosuolo. Le sue cavità sono ben areate e non stantie. Il suo microclima interno è fresco e non incandescente come una miniera di carbone.

Arturo risiedeva a Siliqua, un piccolo paese a metà strada tra Cagliari e Iglesias, e vantava una famiglia composta da 9 persone e 7 figli (4 femmine e 3 maschi).

Arturo partiva di casa la domenica sera per raggiungere il posto di lavoro a Carbonia, in sella ad una di quelle vecchie bici, troppo alte e rigide per un uomo alto circa 1 metro e 60 cm, che per salire a bordo di quella bicicletta doveva saltare sopra un masso posto di fronte alla sua abitazione.

Arturo percorreva quindi poco meno di 40 km in bici per raggiungere Carbonia, lavorare 5 giorni per 12 ore al giorno dentro una miniera, e fare il suo rientro a casa il venerdì sul tardi.

Tutto ciò valse ad Arturo una silicosi, che tuttavia gli permise di ottenere una pensione e vivere i suoi ultimi anni in buone condizioni economiche, se si pensa ai sacrifici che può avere fatto nel crescere una famiglia di 9 persone in quelle condizioni.

Eppure da Arturo c’era tanto da imparare.

Il suo strattonare il colletto della camicia seduto a tavola a pranzo, nascondeva una bontà d’animo unica e una fierezza del suo essere che non ha paragoni.

Arturo era un uomo fatto “a sa menera e is becciusu” (all’antica), ma manteneva un’incredibile modernità su tanti altri aspetti.

Arturo era un comunista dei vecchi tempi, d’altronde lavorando in miniera non poteva essere altrimenti. Un giorno un amico di famiglia mi disse “un operaio non può che votare a sinistra”, ma sinceramente al giorno d’oggi non so se si possa ancora affermare la stessa cosa.

Arturo mi amava e amava i miei due fratelli. Lo si vedeva dai suoi occhi azzurri, nascosti dietro una montatura di occhiali troppo grande per il suo viso.

Non penso che abbia mai detto nulla a riguardo, ma spesso le parole sono superflue, mentre gli occhi comunicano più di quanto ci si possa aspettare.

Caro nonno Arturo,

Ci manchi!

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